Commedia e novella si sono vicendevolmente influenzate nel corso della storia della letteratura: il teatro prende a prestito spunti e situazioni dalle novelle e la novella orchestra teatralmente vicende e personaggi. Il nostro lavoro parte proprio con l’approfondire questo legame attraverso nomi simbolo della letteratura italiana: Boccaccio, Verga, Pirandello fino a giungere alla moderna favola di Calvino; trait d’union di questo viaggio: l’eterna necessità dell’uomo di raccontare e di raccontarsi attraverso i secoli. Il compito del teatro è: narrare visivamente, attraverso gli attori, vicende e personaggi; del resto il teatro stesso rappresenta l’approdo più naturale per questi autori. Non a caso ogni novella di questo spettacolo porta con se ed evoca degli elementi e delle dinamiche prettamente teatrali, non solo attraverso le trame e le storie che raccontano, ma anche nei contenuti e nelle immagini del proprio racconto.

Partendo da Boccaccio (il Decameron 1350, ovvero la più importante raccolta novellistica della nostra tradizione, non presenta forse una situazione compiutamente teatrale? Un gruppo di dieci giovani si ritrovano per raccontarsi storie) abbiamo scelto Calandrino e l’Elitropia, dove troviamo il tema della “beffa”.  

In questa novella Calandrino viene beffato all’inizio della vicenda da altri due tipici personaggi burloni, Bruno e Buffalmacco, i quali raccontano a Calandrino numerose fandonie, svelandogli, tra le altre cose, l’esistenza di una pietra che rende invisibili, l’Elitropia, che si troverebbe sul greto del fiume Mugnone, lì vicino. Calandrino, non resistendo alla tentazione organizza una spedizione per recuperare la pietra dalle mirabili doti. I due compari, intravedendo la possibilità di burlare l’amico, accettano di buon grado, e così, una domenica mattina, si recano tutti e tre nel Mugnone. Una volta che Calandrino ha le tasche piene di sassi, gli amici iniziano a fingere di non vederlo; anzi ne approfittano, prendendolo a sassate, con la scusa che ormai egli è invisibile e che loro quindi non possono capire dove stia. Convinto di aver trovato la famosa pietra e di essere diventato invisibile Calandrino torna a casa tutto contento. Appena entrato, però, la moglie lo rimbrotta aspramente per il ritardo con cui è arrivato a pranzo; Calandrino, vedendosi scoperto e certo che la donna (a cui, per un pregiudizio maschilista, egli associa il peccato e la corruzione morale) abbia spezzato l’incantesimo dell’Elitropia, tenta di picchiarla. Sopravvengono i due amici a cui Calandrino, in lacrime, spiega come sia appunto una prerogativa femminile quella di far “perdere la virtù alle cose”.

Proseguiamo affrontando le tipiche tematiche di Verga con la novella: Don Candeloro e Compagni (1894), dove il personaggio del “vinto” (tema ricorrente della produzione letteraria dell’autore), è qui presentato attraverso le vicende e le sventure di un burattinaio, indagando il mondo degli artisti circensi e, più in generale, “la squallida vita dei guitti”. Don Candeloro, artista burattinaio da generazioni, nella sua città gode di grande ammirazione da parte del pubblico, che ogni giorno assiepava il suo teatro per vederlo e sentirlo declamare attraverso i suoi burattini. Con i suoi pregi fa innamorare Grazia, la figlia di un oste, ragazza bruttina, ma anche possidente. A quest’amore si oppone il padre di Grazia che, da buon uomo di bottega, vede in Candeloro un genero artista squattrinato. Una sera, dopo il suo spettacolo Don Candeloro confessa a Grazia di volerla prendere in moglie osteggiando il veto del padre e confidando che i soldi della ragazza migliorerebbero le condizioni della sua Arte e il suo “Teatro delle Marionette”. Ma l’oste, furbo matricolato, nasconde i soldi della dote della figlia, così la ragazza raccoglie solo i suoi miseri stracci e qualche moneta al banco. Dopo questo evento le cose cambiano per Don Candeloro, in una spirale che dilaga verso il fallimento personale e dei propri ideali; perché con il matrimonio arrivano anche i figli, e parecchi. Il Teatro delle Marionette non attira più il pubblico come un tempo, che corre invece a vedere il nuovo varietà fatto da attori in carne ed ossa, e Don Candeloro e Grazia si ritrovano a vivere una vita fatta di stenti e sacrifici. Così, sfidando la sorte in nome della sua Arte, Don Candeloro si mette a viaggiare, portando il suo teatro dei burattini in tourneé nelle città e nei paesi di provincia. Ma i tempi sono cambiati e dappertutto trova la stessa accoglienza: torsoli di mele, fischi e bucce di patata; allora deve arrivarci anche Don Candeloro, se vuole sopravvivere col suo teatro, a recitare in squallide pantomime dove si espone al pubblico ludibrio, e a mettere in scena ciò che per anni aveva odiato di più.

Giungendo a Pirandello troviamo la novella: Il treno ha fischiato (1914), nella quale attraverso la ribellione dell’impiegato Belluca, si analizza l’irruzione dell’oltre, della fantasia, della necessità dell’uomo (contrapposta alla monotonia e all’assurdità della vita) di evadere attraverso l’artificio, che fa emergere il punto di vista più autentico. Il protagonista della novella è Belluca un contabile dedito all’arido lavoro di ufficio, fatto di conti e calcoli, sottomesso e indifeso e per questo zimbello sia del capoufficio, sia dei familiari. Il racconto procede a ritroso: Belluca, irreprensibile lavoratore, sempre sottomesso e mite, si è infine ribellato; ripreso dal capoufficio reagisce inveendo e farneticando contro di lui. Urlando racconta di un treno che ha fischiato nella notte e che lo ha portato lontano. Viene creduto pazzo. Quindi portato all’ospizio dei matti mentre egli continua ad imitare il fischio del treno ed a raccontare di viaggi in posti lontani. Il narratore, in qualità di vicino di casa del Belluca, spiega che tipo di vita questi conducesse, oppresso non solo da un’umiliante condizione lavorativa ma anche da una squallida vita familiare. In questa situazione, chiuso nella monotonia di giorni sempre uguali, in cui nulla sembrava potesse cambiare, una notte succede qualcosa che cambia tutto. E’ Belluca stesso a raccontarlo: il fischio di un treno, squarcia, all’improvviso la cappa opprimente sotto la quale da anni egli vive e si rende conto che la vita è fatta anche di fantasia e immaginazione.

Il nostro viaggio si conclude, sulle ali dell’immaginario, con: La distanza della luna (1964), tratto da Le Cosmicomiche di Italo Calvino, dove la favola (e il monologo in forma teatrale) rappresenta il mezzo più semplice per richiamare i momenti essenziali della vita dell’uomo: la solitudine, la paura, la lotta, la liberazione. Il personaggio narrante Qfwfq, si ricorda che molto tempo fa la luna aveva un’orbita ellittica e passava molto vicino alla terra, a pochi metri. Egli racconta anche che si poteva salire sulla luna nel punto dove essa passava più bassa: al largo degli Scogli di Zinco. Il più abile a salire e scendere dalla luna era suo cugino il Sordo. Le persone salivano a prendere il latte lunare, una sorta di ricotta che si trovava sotto le crepe della crosta lunare. La storia racconta anche l’innamoramento della moglie del capitano VhdVhd per il Sordo, che a sua volta ha occhi solo per la luna. Una giorno mentre la luna passa vicino alla terra i due, la signora VhdVhd e il Sordo, si ritrovano tutti e due su di essa. Ma l’orbita della luna si sta facendo più distante e lontana, così mentre il Sordo con le sue abilità riesce a scendere e tornare sulla terra, la signora VhdVhd decide, come pegno d’amore, di restare sul satellite, in modo da consacrare la sua esistenza all’oggetto del desiderio per il Sordo, cioè la stessa luna. La varietà degli approcci che un percorso teatrale su queste novelle consente e ispira, non si esaurisce con la semplice analisi letteraria di un tema, o l’adattamento scenico di un testo; ma può essere un punto di partenza per una didattica che voglia potenziare tutte le valenze cognitive ed emozionali di un testo letterario. Noi non vogliamo portare le novelle a teatro, bensì il teatro alle novelle, arricchendo il nostro percorso con la possibilità di intrecciare testi e linguaggi diversi, per comprendere l’universo di simboli in cui l’uomo si aggira.

Teatro TILT ha portato in scena questo spettacolo nella stagione 2016 – 2017, con adattamento e regìa di Tommaso Benvenuti.

Interpreti: Alessandro Ferrara, Andrea Caimmi, Chiara Niccoli, Tommaso Benvenuti.

Direttore di scena: Valeria Candio